Nord Sardegna e Kayak

L’avventura inizia qui, sul litorale sassarese per eccellenza: dalla spiaggia di Platamona, precisamente accanto alla nota Rotonda.

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Platamona dall’alto

Perché partire da un luogo così poco affascinante per un viaggio in kayak?
Era un dovere partire da qui, ragioni simboliche ce lo imponevano. Certo, avremmo potuto portare Aerius in auto, montarlo in un litorale avvincente e partire da lì, immergendoci immediatamente in una costa più frastagliata e godibile. Ma il primo viaggio chiedeva, anzi esigeva una partenza dall’uscio di casa, marinarescamente parlando. Occorreva misurarsi con il primo passo senza l’aiuto di altri mezzi che ci proiettassero artificialmente oltre il primo livello.

Stivaggio

Dunque eccoci qua, attorniati dai bagnanti agostani e impegnati nel montaggio di Aerius, ma soprattutto nella fondamentale operazione dello stivaggio, che – come ci ricorda Edgar Allan Poe in alcuni brevi ma definitivi passi del Gordon Pym:

“…non può essere compiuto alla carlona, molte delle più gravi sciagure marine sono state originate da negligenza o ignoranza a questo riguardo. Le navi costiere, che necessariamente caricano e scaricano merci in disordinata furia, sono sovente vittime di gravi disgrazie, per la mancanza di debita attenzione data allo stivaggio. La cosa più importante è fare in modo che le merci o la zavorra non possano mai spostarsi, nemmeno durante il più violento rullio del bastimento. […] Quando si sta in panna, un vascello che non abbia forma perfettamente modellata si trova facilmente piegato su uno dei fianchi. Questo accade in media ogni 15 / 20 minuti, ma non presenta alcun serio pericolo se la merce è stata stivata con la debita cura. Se invece non si è badato a ciò, al primo di questi sbandamenti l’intero carico si precipita contro il fianco del vascello che si è coricato sull’acqua, e così, impedendogli di recuperare il suo equilibrio, in pochi minuti lo fa riempire d’acqua e colare a picco. Non si esagera forse nell’affermare che almeno una buona metà dei vascelli che si sono inabissati durante una furiosa burrasca hanno subito questa sorte per uno spostamento del carico o della zavorra.”


Consapevole dunque della delicatezza dell’operazione, ma senza comunicare inutilmente alla ciurma i rischi del compierla con lassismo per non inquietarla senza ragione ancor prima del varo, procedo all’accurato stivaggio dell’accampamento portatile, del telone paraspruzzi, dell’ancora, dell’attrezzatura subacquea e da pesca, degli abiti, della tecnologia da comunicazione, del cibo (scatolame, cioccolato, frutta secca, barrette energetiche, sali minerali e vitamine, ma anche triviali patate e cipolle) e – ultima, ma prima per importanza – abbondante acqua dolce.

Partenza

Pronti a partire.

Il sole è ormai ben alto e cocente, la spiaggia affollata, Aerius molto pesante per essere trascinato da soli fino al bagnasciuga.
E qui entra in campo un altro popolo, che ha seguito attentamente ogni fase del montaggio come cosa curiosa ed insolita, mentre si adunava con le mercanzie prima di iniziare la dura giornata quotidiana di commercio itinerante. Un gruppetto di ragazzi africani, forse del Senegal e assai amichevoli, parlotta un istante e due di loro si sganciano, senza chiedere né dire una parola afferrano uno la cima di prua con me, uno spinge da poppa accanto al timone. Con quelle energie fresche in un attimo Aerius è trascinato verso riva e si bagna il becco per la prima volta nel mare di Sardegna.
È stato fondamentale questo apporto interrazziale in fase di varo, questo piccolo ma topico contributo al viaggio da parte di qualcuno che senza dubbio di viaggi se ne intende. Un battesimo africano, un incipit tribale che dà vigore al capitano e alla sua ciurma come nessun altro avrebbe mai potuto. Lo considero un benaugurio, il migliore che potessi desiderare.
Come può non tornarmi in mente il fatale incontro di Ismaele con Queequeg, il polinesiano figlio di re che sarà il suo angelo custode durante tutto lo svolgersi dei tragici eventi? Con la sua nobiltà, la sua grazia, la sua possanza, Queequeg riluce come una perla in un ambiente di meschini, ubriaconi, profittatori, rissaioli e miserabili.

La partenza è orgogliosa e felice, forse anche un po’ troppo tronfia.
Pagaiamo di buona lena a circa 150 metri dal litorale e ci teniamo paralleli alla lunga lingua di sabbia, navigando verso ovest in direzione di Punta Tramontana, il promontorio che separa la grande insenatura sabbiosa di Platamona dall’inizio della costa rocciosa. Il gesto è fluido, Aerius scivola agilmente sull’acqua, come la sua storia gloriosa lasciava attendere.

Maestrale


Dopo due ore circa il maestrale inizia a montare, e con lui le onde. Resistiamo finché è possibile, ma le onde arrivano esattamente da babordo e la nostra direzione di marcia ci impedisce di affrontarle correttamente, a meno di non puntare decisamente verso il largo. Sono sempre più alte e la tendenza del vento è evidentemente al rinforzo. Il rischio di venire rovesciati si fa sempre più concreto, il che – se non costituisce un pericolo per noi – ci farebbe perdere sicuramente buona parte del carico: siamo attrezzati per un trekking nautico di lunga durata e siamo abbondantemente equipaggiati.
Il capitano decide per la resa momentanea: al settimo chilometro dalla partenza viriamo a tribordo e facciamo rotta verso terra, dove approdiamo di fronte alla Risacca, noto ristorante del litorale. La crisi del settimo chilometro.
Non possiamo che subire il diktat imperioso del mare. Tutto il giorno attendiamo che il vento si indebolisca e il mare perda tono, ma non succede: l’onda è alta, si frange già lontana dalla spiaggia e prendere il mare è impossibile. Per fortuna abbiamo preso terra in un punto che consente di godere delle molli delizie di una costa antropizzata: linguine allo scoglio, vermentino ben freddo e qualche ostrica di rinforzo sono l’ampia consolazione allo schiaffo che il mare ha riservato alle nostre velleità.

La Risacca

La giornata procede placida in un clima da spiaggia attrezzata: bivacchiamo sui lettini e all’ombra di un ombrellone comincia la lettura dell’unico libro consentito a bordo di Aerius: Moby Dick. Questa microavventura vive di simboli, la vicenda del Pequod che salpa da Nantucket al folle e disperato inseguimento del bianco capodoglio non ha rivali nell’assurgere a bandiera di questa traversata inaugurale.

Prima notte di delusione


A mano a mano che scende la sera, appare chiaro che saremo costretti a passare la notte a una scoraggiante breve distanza dai blocchi di partenza. E appare chiaro che la potenza del mare ci mette all’angolo e ci fa affrontare la prima vera prova del viaggio: il rischio del ridicolo. Non siamo bloccati eroicamente su uno scoglio in mezzo al mare, con le onde che frangono sulle rocce: siamo costretti su dei lettini per abbronzatura, mentre nel ristorante del mattino fervono festeggiamenti matrimoniali, al suono orrendo del peggio che la musica finto-salso-latino-cubana abbia prodotto in decenni di gloriosa nauseante attività. Al grido scimmiesco di un deejay che Fidel Castro avrebbe più igienicamente dovuto mettere ai ferri come dissidente del buon gusto, una marmaglia sbronza canta, rutta, balla, strilla e piscia tutta la notte, tenendoci svegli insieme alle zanzare, al freddo umido, alla scomodità del giaciglio, alla luce dei fari alogeni, alla pelle irritata dal bagno di sole del giorno.
Ma “ha da passà ‘a nuttata”, assicura Eduardo, ed è questa la speranza che ancora tiene leggero il cuore nello scorrere delle ore. Anche loro infatti raggiungono il limite, i gozzoviglianti, la notte li inghiotte e il silenzio ci riavvolge sul far dell’aurora.

A parte l’onda lunga che sarà fastidiosa in fase di ripartenza, il mare appare più docile, il vento quasi del tutto assente. Una colazione come primi clienti assoluti della capanna bar e via, verso Punta Tramontana. La partenza, come temevo, è resa complicata dal frangersi dell’onda lunga, Aerius viene riempito d’acqua da un’onda molesta e – privi come siamo di una pompa di sentina – dobbiamo procedere all’evaquazione meccanica del mare che ha invaso l’intimità della stiva.
Molto più bagnati di pochi minuti prima, finalmente pagaiamo di buona lena alla volta della sospirata Punta Tramontana.
Ma la sorte non ci arride: una manciata di chilometri, appena 3, e il mare imponente ci costringe a tornare ancora una volta verso riva ed approdare ad Eden Beach, l’ultimo tratto di lingua sabbiosa del lungo litorale di Platamona. Qui la sabbia è molto più scura, ferrosa, il tratto di arenile è stretto e disseminato di canne palustri strappate via dalla forza del mare e depositate a cumuli sulla spiaggia.

Platamona –
Eden Beach

Ormai è chiaro che Punta Tramontana è le nostre Colonne d’Ercole, il limite del Mondo Conosciuto oltre il quale solo mistero, paesaggi magici, creature fantastiche e demoniache. Si propone all’orizzonte come un miraggio nel deserto, occhieggiando con dileggio alle nostre vane brame.

Ancora bloccati nostro malgrado, questa volta rizziamo la tenda per riposare con più agio e passare una notte di sonno ristoratore, per essere pronti la mattina dopo ad una partenza al sorgere del sole.

Punta Tramontana e Castelsardo

Il terzo giorno, si sa, è resuscitato.
E anche il terzo giorno è per noi quello decisivo, il varo effettivo posticipato.
Finalmente il mare ci lascia fare, il vento non si è spento del tutto – in Sardegna la bonaccia è rara come la neve in autunno – ma ci lascia abbastanza spazio di manovra per pagaiare verso il nostro Capo di Buona Speranza. Quasi non possiamo crederci, ma superiamo finalmente Punta Tramontana, e nel farlo tacciamo come chi tema con la parola di rompere un delicatissimo ed instabile equilibrio.
Superiamo anche la costa sabbiosa di Lu Bagnu e dopo poca distanza da un capo roccioso ci si para innanzi il meraviglioso borgo di Castelsardo, arroccato su un promontorio a picco sul mare, dominato dal castello dei Doria vecchio di nove secoli, costruito su roccia lavica scura e tetra, ma bellissima.
Circumnavighiamo l’intero paese e in una delle spiaggette ai piedi del borgo ci fermiamo a riposare: le energie vengono bruciate molto rapidamente, i muscoli sono tonici ma hanno bisogno di riposo, la pelle è colpita senza pietà dal sole cocente, il fondo-schiena è dolorante per il protrarsi della posizione da pagaiata.
A questo momento risale la prima immagine in assoluto catturata da questo viaggio: durante le prime due giornate l’umore non si prestava ad immortalare il nostro rimanere insabbiati a poca distanza dai blocchi di partenza, e durante la navigazione eravamo troppo impegnati nel lasciarci alle spalle più miglia marine possibile.

Ma ora, ecco Aerius e sullo sfondo Castelsardo, in tutta la sua magnificenza.

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Castelsardo sull sfondo

Badesi

Non ci attardiamo a lungo in ozii pomeridiani, abbiamo perso troppo tempo bloccati dal mare arcigno dei giorni scorsi, e così ripartiamo senza nemmeno aver digerito le nostre scatolette di tonno e fagioli e tonno e piselli, cibo che normalmente sarebbe quasi disgustoso, ma con questo scenario e come carburante di un’impresa (per noi) epica, diventa una delizia da gourmet.
Superato Castelsardo, la costa rallenta in un’altra lunghissima striscia sabbiosa, quella di Valledoria e Badesi, al centro la foce di uno dei più importanti fiumi della Sardegna, il Coghinas, fiume che viene ridisceso spesso da kayakisti dal lago Coghinas fino alla foce. L’estuario d’estate viene artificialmente tappato con la sabbia della spiaggia, per impedire che le acque torbide del fiume si mescolino a quelle cristalline del mare rovinando le impressioni da cartolina dei turisti. A ridosso del litorale si forma quindi un piccolo bacino, dove l’acqua prigioniera del fiume si raccoglie e accumula, rendendo lo scenario per chi lo ridiscende molto simile a quello di un grande corso d’acqua, qualcosa che in Sardegna, isola siccitosa, non esiste.
La giornata si avvicina al tramonto e i colori del cielo e della sabbia cominciano lentamente ad avvampare, noi pagaiamo a poca distanza dalla costa in modo efficace e regolare. Quando decidiamo di approdare è perché veramente i muscoli delle braccia cominciano a non rispondere, le mani accennano vesciche, il fondoschiena segnala un dolore pungente per averci sostenuto tutto il giorno.


Abbiamo percorso quasi 25 miglia, un buon risultato considerate le premesse dei due giorni precedenti.
Aerius sembra esausto anche lui, immobile adagiato sulla sabbia, quasi a godersi il tramonto che sta per esplodere.

Suppa Cuata

La costa sabbiosa di Badesi è lunghissima, alcuni tratti sono molto affollati da turisti, altri sono completamente deserti come fossimo su un’isoletta dimenticata, e in uno di questi ci accampiamo.

Le violente mareggiate che spesso sferzano questo litorale depositano sulla spiaggia legni e tronchi di tutte le dimensioni, alcuni sono degli alberi interi, sbiancati dal sale, dal tempo e dal sole, arrotondati dagli innumerevoli urti degli scogli subiti durante le tempeste. Rizziamo la tenda proprio accanto ad uno di questi enormi alberi, quasi a farci proteggere dalla sua presenza rassicurante, e lo usiamo come stendino per appoggiare tutte le nostre cose, compresi i teli e i vestiti resi umidi dalla giornata in acqua.
I legni depositati così dal mare sono una meraviglia, una risorsa immensa per i praticanti di trekking nautico: sono migliaia, sono essiccati in modo perfetto, così smussati che è un piacere toccarli e trasportarli, accenderli è un gioco da ragazzi e scaldano, scaldano in modo meraviglioso per notti intere e potresti arrostirci tonni o capretti.

Stanotte però non ce ne sarà bisogno: un gruppo di amici decide di farci uno di quei regali che dopo 25 miglia marine di kayak appare realmente come un miracolo. Ci raggiungono e portano, quale tributo alla nostra epopea, suppa cuata in abbondanza. La suppa cuata e una delizia tipica della Gallura, che inizia proprio qui a Badesi, cucinata al forno con pane raffermo, brodo di pecora, formaggio vaccino e pecorino stagionato: l’apoteosi della cucina pastorale gallurese. L’hanno recuperata in abbondanza da una sagra paesana vicina ed è un calore impagabile che asciuga tutta l’umidità accumulata nelle ossa. La notte trascorre così fuori dal tempo, attorno ad un fuoco eterno, con cibo antico di millenni, e il sonno a impadronirsi del corpo e a trasportarlo altrove.
Poi anche il fuoco viene inghiottito dalla notte, gli amici ci lasciano per tornare in città, e noi strappiamo ancora poche ore di sonno in vista della quarta giornata di viaggio che inizierà insieme al sorgere del sole.

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