La Sardegna di Fulco Pratesi

Avrete certo preso in mano anche voi tante volte una guida turistica o naturalistica.

Se ne trovano a centinaia in qualsiasi libreria. Si assiste anzi a una loro proliferazione incontrollata.

Homo turisticus pretende le sue bibbie e i suoi vangeli: disposto peraltro a sostituirli nel breve spazio di una nuova e sempre uguale stagione di bulimici spostamenti. Un’infinita letteratura usa e getta che dopo pochi anni appare già vecchia, rimpiazzata da nuove stampe, nuove grafiche, nuove foto, informazioni aggiornate. Una messe sterminata di istruzioni, un manuale di abnormi dimensioni tutto volto a chiarire i termini di usabilità del paesaggio come fosse un prodotto qualsiasi.

Questa Guida alla Natura della Sardegna di Fulco Pratesi e Franco Tassi – parte di una collana più ampia dedicata ad alcune regioni Italiane, anche se non tutte – non è fra quelle che potete trovare nelle librerie, quelle antiquarie a parte. Ha visto infatti le stampe giusto qualche mese prima di me., prima cioè che io venissi al mondo: lei nel maggio del 1973, io agli albori dell’inverno di quell’anno austero.

La crisi petrolifera del ’73 aveva costretto infatti l’Occidente a emanare pacchetti di misure per il risparmio energetico su tutti i fronti della vita quotidiana. Erano tempi in cui la domenica era vietato circolare in auto, per esempio. O in cui i locali pubblici chiudevano alle 23:00 e la RAI interrompeva i palinsesti alle 22:00.

Ricordo benissimo i fumetti di quell’epoca, Topolino per esempio. Alternava pagine a colori a pagine in bianco e nero, queste con i soli contorni di forme e personaggi e fra loro carta semplicemente bianca: anche i colori erano un piccolo mondo in cui esercitare la pervasiva arte del risparmio e della continenza.

Austerity l’avevano battezzata, questa apparentemente nuova categoria dello spirito occidentale. Non che fossimo nuovi all’austerità, certamente no: modalità di conduzione della vita consustanziale a tutte le forme organiche. A homo sapiens compreso, per quasi tutta la durata della sua storia, al netto di poche lussuose eccezioni.  E dire che, dopo un paio di decenni di boom economico post-bellico, al diritto al consumismo e allo spreco ci si aveva quasi fatto l’abitudine: l’austerity funzionò per molti come gli schiaffi dati a un incosciente per fargli riacquistare i sensi. Ovviamente non ho un nitido ricordo personale di tutto ciò, ma misteriosamente qualcosa di quel clima spirituale deve essermi per osmosi passato dall’esterno alle ossa, e da lì dritto verso il carattere.

È veramente difficile poter leggere una guida in questo modo: dall’inizio alla fine, come si fa con un romanzo. Di solito le guide le si consulta, a seconda della zona che si vuole esplorare, saltando fra le pagine di qua e di là. Questa, quando la si inizia a scorrere, non si riesce a lasciarla. Anche quando tratta di parti della Sardegna visitate poco o affatto, rimane viva una forma di suspence paesaggistica che pungola a proseguire la lettura. A scoprire quale meraviglia – ma anche quale orrore – ci disvelerà.

seconda edizione, febbraio 1977

Non c’è pagina in cui il lettore abbia requie. In cui possa abbandonarsi – incosciente e irresponsabile – a un’idea edulcorata di Sardegna da cartolina. Fulco e Franco alternano in modo serrato, tambureggiante, descrizioni paesaggistiche di ottimo valore letterario – una vena insieme autenticamente poetica e puntualmente scientifica – a una denuncia continua, persistente, instancabile dei crimini contro la natura e il paesaggio. Sarà per questo che di una guida così oggi sarebbe impensabile una ristampa? Perché il turista tipo vuole andare in giro con la coscienza ignara e leggera e preferisce non sapere?


L’anima di questa Guida non ci mette molto a emergere. Già nelle prime pagine, parlando della Nurra – la regione storica della Sardegna nord-occidentale – si chiarisce subito che lo stile non è celebrativo. Che qui non si vuole spacciare la Sardegna per un paradiso incontaminato, favoletta buona solo per un pessimo marketing turistico, a suo modo complice dello sfacelo: “…uno dei tanti infausti tentativi di colonizzazione del dopoguerra, allorché le macchine presero ad assalire la natura selvaggia, sconquassando senza ritegno gli intricati meandri delle palme nane, del lentisco, del mirto, dell’asfodelo…“.

la Nurra nei dintorni di Olmedo

Già, perché ammirare un macchione di lentisco o una radura a gariga, un ginepro coccolone o fenicio, non è tutto. Lo sarebbe, in un mondo ideale. Ma il mondo ideale ha smesso di esistere con l’inizio dell’antropocene – quell’era geologica appena iniziata in cui il principale fattore di trasformazione, di modifica dei parametri chimico-fisici fondamentali del Pianeta, di estinzione di massa di specie vegetali e animali, siamo noi: homo sapiens.

E allora, proprio a proposito di ginepri, “…il guaio è che sono ricercati dai commercianti di legname che, per soddisfare i gusti sofisticati di una clientela assolutamente irresponsabile e agnostica, li affettano per farne pavimenti.

No, Fulco e Franco non hanno certo paura di farsi dei nemici, Sardi o continentali che siano. Non sono politici e non cercano consenso, anche se politica la fanno, eccome!

Nei primi anni ’70, quando ancora la celebrazione simil-futurista dello sviluppo e l’esaltazione dell’homo aedificans regnavano quasi incontrastate, non avevano remore a sputtanare il fatto che “…non c’è squallida villa della Costa Smeralda che non presenti aromatici pavimenti in ginepro, non esiste locale caratteristico che, nella oscena paccottiglia pseudosarda di cui si adorna, non ostenti anche travature, attrezzi e cancellate in questo raro e prezioso legno. Quanto più un prodotto della natura è raro e delicato, tanto più si trovano indegni individui che ne traggono guadagno, speculando sulla vanagloria degli arricchiti.

Considerata la venerazione – a dire il vero piuttosto controversa – per la Costa Smeralda nell’Isola, lo status symbol che rappresenta, l’opulenza che le ville laggiù ostentano ma anche nascondono, leggerle definite squallide è assistere a una presa di posizione antropologica non da poco!

Come può il lusso essere squallido? Ma leggendo Fulco Pratesi, la domanda diventa quella inversa: come potrebbe il lusso – quello che esiste a spese del paesaggio, della biodiversità, dell’ecosistema, e quindi in ultima analisi tutto il lusso – non essere squallido?

rimboschimento non lontano da Castelsardo
l’idrovora di Sassu, con cui venne prosciugato lo stagno omonimo

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