Zanna Bianca

dichiarazioni esistenziali [1]

Non ricordo esattamente quanti anni avessi quando ho letto quel capolavoro di Jack London che è Zanna Bianca, White Fang.

Jack London è uno scrittore grandissimo, che solo il miserrimo provincialismo italiano è riuscito a far passare per decenni per uno scrittore per “ragazzi”. In questo modo legittimando il parto di obbrobriose versioni ridotte – vale a dire mutilate – di alcuni suoi capolavori.

Tra l’altro, era un convinto e attivo animalista ai primi del ‘900, protagonista di una campagna di informazione contro lo sfruttamento degli animali nei circhi. In tempi in cui – giusto per dire – in Sardegna si faceva a gara a chi fosse riuscito a impagliare l’ultimo muflone sopravvissuto all’ecatombe venatoria.

In Zanna Bianca c’è un passaggio che turbava parecchio il me preadolescente, tanto che il ricordo è ancora molto nitido.

Zanna Bianca è ormai un lupo adulto, ma ancora molto giovane. Un anno circa di età. Nei giri di perlustrazione del suo ancora informe territorio, gli capita di imbattersi nella madre, che quindi non rivedeva da qualche mese. Istintivamente le si lancia incontro, cercando quelle carezze e dolcezze che fino a poco tempo addietro gli venivano da lei. Coincidevano con quella creatura lì davanti a lui. Lei reagisce con una zampata che gli squarcia la pelle. Lui, stranito e scioccato ma ancora incredulo, ci riprova. Lei lo respinge ancora più duramente, con un morso che di pelle gliene strappa un lembo.

Zanna Bianca forse capisce. Forse no, ma comunque prende atto. Fatto sta che si allontana. Col cuore pesante, diremmo noi, ma chissà se queste parole fatte per umani si applicano anche a un lupo.

Jack London la chiude così: una lupa non riconosce i suoi cuccioli della stagione precedente.

Ora, forse non sappiamo veramente se lei l’avesse o meno riconosciuto come proprio figlio. Forse no. Però può darsi benissimo che invece lei l’avesse sì riconosciuto, ma che fra lupi un figlio dell’anno prima non fosse diverso da qualsiasi altro lupo estraneo, nel comportamento che suscita nella madre. 

I lupi non ci mettono 30 anni come gli umani (quando va bene) a rendere un figlio in grado di badare a se stesso. Gli danno tutto quello che gli serve nello spazio di qualche mese, dopodiché il mondo è grande: che trovi pure la sua strada, se gli riesce.

A me non-più-bambino, ma molto lontano dall’essere adulto, questa cosa feriva. La sovrapponevo alla mia esistenza, mi chiedevo come fosse possibile un’infamia così crudele. Quale tragedia avrei vissuto se mia madre, nello spazio di una stagione, mi avesse scacciato, avesse respinto le mie struggenti pretese di tenerezza con graffi e morsi?

Mi immedesimavo in Zanna Bianca, nel suo straniamento ferito. Con la differenza che nell’immaginazione io non riuscivo ad andarmene. Non ce la facevo a prendere atto della delusione suprema, e rimanevo là. Irrisolto, davanti a una madre ormai ostile. Una madre non-più-madre che rendeva il mio amore per lei un atto di tragico solipsismo.

Quante cose sono cambiate da quel momento… quella cameretta che era la tana delle mie prime, decisive letture, è ormai tale solo nella mia memoria.

Tante cose son cambiate, ma a ben vedere solo una e fondamentale. Da non-più-bambino sono ora adulto, e tutto il mondo di cambiamenti avvenuti nel frattempo sono ricompresi nella semantica immensamente vasta di questa ardua, dura, ma anche straordinariamente fertile parola: adulto.

All’adulto che oggi sono, il comportamento della madre di Zanna Bianca non fa più paura. Non ferisce più, non offende, non scandalizza. È la cruda dolcezza delle cose stesse. La poesia della verità.

Anzi, a ben guardare, io oggi condivido con quella lupa quello stesso medesimo sentire. La stretta biologia non mi interessa più. Le parentele genetiche, le somiglianze vaghe e aleatorie di stringhe di nucleotidi, hanno smesso di riguardarmi. Non ritengo più tutto ciò un motivo valido per alcunché, tanto meno per un intenerimento del cuore.

Mi interessano invece i rapporti colorati da un comune approccio all’esistenza, nella sua consustanziale precarietà. Dotati di un senso capace di vedersi progettuale; capace di raccogliere il guanto della sfida e della scommessa del futuro – non solo nel qui ed ora, e men che meno nell’altrove di ieri.

Ci sono voluti circa 40 anni per passare da immedesimarmi in Zanna Bianca a immedesimarmi nella lupa sua madre. 

È un tempo un po’ lungo, lo ammetto. Ma qui non si corrono i 100 metri.

Si corre la maratona.

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