
giorno.00
Ad Ajaccio il traghetto da Porto Torres arriva con un ritardo che minaccia di essere decisivo per la mia notte. Dal porto ho spiccioli di minuti per raggiungere il campeggio, prima che la finestra del check-in chiuda. Se non riesco, tutti i piani saltano. Mi spolmono come in una cronoscalata per non perdere quella finestra temporale che ormai è diventata una feritoia. Ce la faccio, arrivo con 4 minuti di anticipo, alla reception non ci credevano ormai più che qualcuno sarebbe arrivato e avevano ormai staccato. Mi accoglie infatti con un francese irrevocabile e acido, la signora addetta agli attracchi. Rinuncio a capire cosa dice per spiegarmi come uscire e rientrare e – digiuno – monto la tenda. Ho trascurato di portare cibo di emergenza con me, pensavo avrei trovato un campeggio più attrezzato, ma questo è poco più di un campo con docce e cessi. Sarà un sonno a stomaco vuoto. Cerco di ricordare il detto cinese “Lascia la cena al tuo nemico”, pensando che doveva pur avere qualcosa di saggio e salutare. Mi concentro sui primi sogni prima che il cicloviaggio cominci e scivola dolcemente la notte nel mio bivacco.
giorno.01
La mattina all’uscita da Ajaccio, fra il traffico infernale di lavoranti e vacanzieri, mi concedo una gran bella colazione in una graziosa boulangerie, perché “quando il gioco si fa duro…”. Non sapevo che sarebbe stato l’ultimo pasto serio prima di un digiuno imprevedibilmente lungo. Il “gioco” stavolta consiste nel rendez-vous con un amico domani nel bel mezzo della Corsica, a Corte. Dovrò pedalare verso nord lungo la costa, e poi tagliare deciso per le montagne affilate e scoscese, arrampicandomi lungo pendenze a cui ancora non credo del tutto, nonostante mi vengano certificate dal moderno oracolo del santuario di Google. Non credo di essere mai andato attorno ai 2mila mt di dislivello a bici carica: mi chiedo che Carlo sarà durante e dopo il mio record che mi avvio a battere. Ammesso che ci riesca.
La prima salita importante mi porta a scavallare la penisola a nord di Ajaccio. La strada è un cantiere e vengo superato continuamente da camion poderosi carichi di pietrame che ogni volta mi docciano di pietrisco. Devo trattenere il fiato. Raggiungo la costa del Golfo di Sagone e verso la fine, all’altezza dell’ultima spiaggia, abbandono la prossimità delle belle acque blu carico per tuffarmi nella D70, la strada che mi accompagnerà per un bel tratto e fino ai 1100 mt di altitudine.

Si inizia a salire. Si continua a salire. Non si smette di salire. Si sale ininterrottamente per oltre 20 km.

L’ultimo tratto prima di Col de Sévi ha una pendenza che mi mette in difficoltà. Prima mi fermo a rifiatare e socializzare con due cari asini, che mi annusano scrupolosamente guardandomi con occhi dolci per incoraggiarmi, poi mi do a zigzagare lungo gli ultimi metri per arrivare al passo. Non sono ancora alla fine, ma la sensazione a Bocca di Sevi mt 1101 è comunque prossima all’entusiasmo. Qualche scampolo di tornanti in discesa, e la salita ricomincia. Ormai il giorno sta sfumando e cresce il peso di 3 problemi, in ordine di importanza:
a) trovare acqua (finita)
b) trovare cibo (finito)
c) trovare luogo sicuro per l’orizzontalità (molto stanco)
Pedalo verso e poi attraverso Cristinacce, un simpatico villaggio. Abituato alla Sardegna, dove financo raggruppamenti di tre case hanno un bar, son sicuro che sete e fame avranno sollievo. Cristinacce è un luogo certamente ameno, ma dove i suoi 56 residenti non sentono il bisogno di quella massima istituzione civile detta “bar”, e neppure sento scrosciare fontanelle nei paraggi, quindi i miei 3 problemi tali rimangono.
Lascio Cristinacce che l’aria si fa bruna. Inizio a fare i conti interiori col fatto che non troverò cibo, forse dovrò chiedere acqua a qualcuno, e mi accamperò dove capita. Quand’ecco che sulla sinistra, come un miraggio che veramente non ti aspetti e pensi sia frutto del tuo desiderio immaginativo, sfila un cartello: camping. Siamo in mezzo alle montagne, veramente non mi aspettavo nulla di simile. Il cancelletto è aperto e mi ci ficco. Su una porta chiusa sta scritto “if I am not here don’t worry, take place. We’ll arrange it later“. Mi piace questa totale informalità, che è sempre la migliore accoglienza possibile, e così faccio. Qualche camper degli ubiqui tedeschi mi rassicura che il camping L’Acciola non è uno scherzo della mia mente dettato dalla privazione di cibo ed acqua. Mi disseto abbondantemente e trovo il mio posto. Domino la valle con la mia Ferrino da bivacco, e subito penso che pochi giacigli oggi possono competere per bellezza col mio.

La proprietaria è una gioviale signora sulla sessantina che parlocchia italiano e mi mette a mio agio. Le chiedo speranzoso cosa posso comprare da mangiare lì da lei, con lo stomaco che già gorgoglia. Niente. C’era la pizzeria lì nel camping, fino all’estate scorsa, poi è bruciata. Non la pizza, tutta la pizzeria. “Devi andare ad Évisa, lì forse un negozio aperto lo trovi”. Non ho in corpo che una buona colazione, un pain au chocolat e un pain au raisin mangiati durante il viaggio dal mare. Ma per quanto la bocca dello stomaco assomigli ormai a una voragine di cui non si vede il fondo, l’ipotesi di rimettermi in sella, scendere verso Évisa e poi risalire verso la tenda, senza peraltro la garanzia di trovare qualcosa di aperto, non trova l’accoglimento delle mie forze. Ho pedalato per 70 km, che non sono tanti, ma 1750 di dislivello rappresentano il mio record personale di dislivello a bici carica in una giornata. Mi faccio forza, do istruzioni al mio corpo di non aspettarsi nulla, se non qualche sorso di sali minerali e carboidrati liquidi. Spesso veniamo presi dalla fame irrefrenabile quando siamo nella prospettiva concreta di poter mangiare di lì a poco. Allora arrivano gli spasmi e cerchiamo in ogni modo di abbreviare il più possibile l’attesa. Come quando attendiamo in ristorante, per esempio. O quando soli a casa siamo disposti a saltare vari passaggi nella preparazione del cibo per riempire quella urlante voragine quanto prima. È la prospettiva di poter colmare quel vuoto nel breve che crea l’esperienza bruciante del vuoto. Senza quella possibilità, il vuoto – anche quello dello stomaco – non si fa udire come tale. Al contrario, quando il corpo sa che non arriverà nulla fino al giorno dopo, entra in uno stato come di atarassia. Si brucia quel che c’è in cantina, si tirano fuori i barilotti di strutto stagionato e ci si dà contenti così. Non sono stato disturbato affatto dal digiuno durante il sonno. Anzi, ho dormito benissimo, facendo ormai la pace con la dimensione uniloculare del mio bivacco.

giorno.02
La mattina arriva, e con lei tutti gli uccelli che la annunciano abbondantemente molto prima di quanto noi siamo disposti a considerarla tale. Pedalate poche centinaia di metri, un bivio chiede una decisione. Évisa a sinistra, qualche chilometro a scendere, colazione e poi risalita. A destra si va diritti verso il passo. La decisione passa per:
a) sottostima della salita che mi condurrà in vetta
b) sovrastima della distanza da Évisa
c) ansia di arrivare al passo e iniziare una discesa che attendo da 22 km
d) permanere dello stato atarassico che sembra non richiedere più cibo (variante del noto paradosso del cavallo che proprio quando si fu abituato a non mangiare, crepò)
Lascio la via per Évisa alla mia sinistra, abbandono la D70 per la D84 e mi inoltro nel meraviglioso bosco di larici e abeti che mi accoglie come in un grembo.

Ai piedi del costone di roccia scoscesa, sento gorgogliare il torrente che continuamente scava la valle e porta l’acqua al mare, che incredibilmente è ancora in vista, in lontananza.

Ai lati della strada gironzolano pacifici maiali, in tutte le gradazioni di colore: dal beige maculato al grigio, fino al nero. Tutti intenti o a sgranocchiare semi, castagne, tuberi, oppure a crogiolarsi sotto il sole del mattino.
Macino tornanti e curve a gomito e finalmente… il passo! Col de Vergio segna il passaggio dalla Corse du Sud alla Haute Corse. Con i suoi 1490 mt pone fine alla mia salita durata i 20 km di ieri più i 18 di oggi. Sono estasiato. Ho superato in due giorni tre record personali: il massimo dislivello pedalato in un giorno, la massima altitudine raggiunta in bicicletta, per giunta carica, la salita più lunga della mia breve carriera di cicloviaggiatore.

Inizia una discesa infinita lungo il corso del fiume Golo, verso il Lago di Calacuccia ed oltre. Anche questa discesa sarà uno dei record di questo viaggio corso. Una discesa ininterrotta di 46 km, da Col de Vergio fino al Ponte di Castirla, capace di mettere a dura prova deretano, avambracci e polsi. Non avrei mai pensato che una discesa potesse stancarmi.

La mattina si è inoltrata e ormai la mancanza di cibo è diventata insostenibile. Gli ultimi bocconi del pain au raisin risalgono ormai a circa 20 ore fa. E 20 ore non qualsiasi. Attraverso Casamaccioli, sul lago, e ancora non trovo nessuno spaccio, nessuna locanda, niente di niente. Se non mucche tranquille e ruminanti adagiate mollemente nei giardini al centro del paese.
Finalmente. Finalmente le inconfondibili fattezze di una trattoria di campagna si mostrano in tutta la loro europea, tranquillizzante, familiare, opulenta disponibilità. Il mio digiuno promette di finire a breve. E quindi, puntuale come da ragionamento più sopra, esplode ora una fame bestiale, trattenuta finora dalla necessità di tacerla. La fame mi porta a esagerare. Mando giù una enorme omelette au fromage de chevre e a seguire delle tagliatelle ai funghi, créme e foie gras. È troppo e tutto insieme, tanto che riprendo a pedalare come un boa dopo un pasto abnorme. Spinto dagli oneri della digestione e dalla calura pomeridiana insopportabile, mi butto sull’erba sotto le fronde ombrose di un albero lungolago, dove mi abbiocco inesorabilmente per una mezzora che pare un giorno. Risorgo ai pedali e continuo la discesa, seguendo sempre il Golo, che stavolta cambia decisamente sembiante. Subito dopo la diga che genera il lago di Calacuccia, il Golo si fa largo fra le montagne rocciose scavando un profondo canyon, dalle pareti drammaticamente arse e tormentate. La roccia è erosa dall’alternanza millenaria di ghiaccio, piogge, venti e sole spietati.Il Golo sembra farsi strada a fatica, saltando massi enormi, formando piscine di acqua celeste, aggirando alberi miracolosamente inerpicati sulle sponde. Il paesaggio è maestoso, e la D84 lo onora incuneandosi nella roccia, appoggiandosi a ponti in pietra addossati alla parete e seguendo pedissequa tutto il corso del fiume fino al Ponte di Castirla. La gola della Scala di Santa Regina termina qui. Rimarrà uno degli spettacoli della natura più avvincenti di sempre.


Il mio amico è ormai arrivato a Corte, luogo del nostro rendez-vous, e scalpita nell’attesa. A me mancano poco più di 10 km, dunque lo avverto del mio imminente arrivo. Non faccio i conti col fatto che saranno 10 km di salita, lungo la D18 che passa per Castirla, dunque l’imminenza sarà assai relativa. Alla fine della giornata avrò ancora superato i 1000 mt di dislivello, che dopo l’impresa di ieri valgono assai di più. Festeggiamo l’incontro con la classica, irrinunciabile, doverosa birra d’ordinanza. Consustanziale, direi, al cicloviaggiatore che abbia concluso vittoriosamente la sua giornata spingi-tira.
Ci accampiamo presto da Chez Bartho, camping ground alle porte di Corte, alle pendici delle montagne, dove il fiume Tavignano colma un conca con un ansa del suo corso e lascia spazio ad una spiaggetta deliziosa. L’acqua è meravigliosamente ghiacciata e mi accoglie per rigenerarmi, mentre mi nuotano attorno le trote. Segno che l’acqua è priva di inquinamento, cosa che la sua cristallinità già mostrava.

giorno.03
Lasciamo Corte e il centro della Corsica, diretti verso nord. Proviamo per quanto possibile ad evitare la T20, trafficatissima da mezzi pesanti e auto che viaggiano spedite. E allora percorriamo la D18 in tutta la sua lunghezza, anche se questo ci costerà molta più salita. Arriviamo finalmente a Ponte Leccia, dove facciamo il carico di cibo e acqua. Proseguire verso nord si fa duro. I chilometri di salita nelle gambe si accumulano e la giornata diventa via via più pesante in modo esponenziale. Arriviamo a ridosso della spiaggia di Ostriconi seguendo la T30, altra strada possibilmente da evitare, avendo ancora gambe e voglia. Ormai oggi ci difettano entrambe.
Ennesimo campeggio, ennesimi tedeschi. Questo fatto dei tedeschi merita alcune parole a parte. Ci sono dei campeggi dove la loro presenza è pressoché esclusiva. Si stabiliscono coi loro camper attrezzatissimi, oppure con le loro tende enormi e multistanza, e stazionano per settimane, alcuni per mesi. Formano delle microcomunità germaniche dove ovviamente parlano mono-tedesco, dato che il personale delle strutture ovunque si adegua al loro peraltro non semplice idioma. Trasferiscono qui nell’esotica Corsica il loro quartiere, una piccola Germania estiva, dove solo in parte modificate stazionano con loro anche tutte le loro abitudini. Rimarchevole come possano trovare di una qualche fascinazione avere dei vicini di “casa” che solo in trascurabile parte differiscono da quelli soliti che vedono tutto il resto dell’anno. Parlano tedesco, i bambini giocano fra di loro in tedesco, si siedono al ristorante e ordinano in tedesco. Mi tengo prudentemente lontano da qualsiasi giudizio di valore, e vengo solo pervaso da un voyeurismo stupefatto, guardandoli come si guarda qualcosa che non si capisce fino in fondo. E sì che ho vissuto per anni in Germania e credo di conoscerne l’antropologia, ma ancora questi dettagli li glorificano ai miei occhi in un persistere di mistero.
giorno.04
Il Deserto di Agriates è la nostra meta di giornata, ma che non abbiamo studiato a sufficienza. La strada D81 che lo bordeggia ci conduce al passo, da cui dominiamo tutto il grande promontorio dove si stende il “deserto” mediterraneo di Agriates.

Alcune telefonate, alcune ricerche online e scopriamo che sono 3 le strade che portano alla costa. Tutte sembrano proprio essere troppo per delle bici da viaggio cariche come le nostre. Sabbiose, con molte buche e sassi, pendenze impossibili. Adatte a delle ottime mountain bike, per le nostre rappresentano un’impresa troppo rischiosa. Si prospetta di dover spingere per gran parte del percorso, di forare o rovinare i componenti. Le possibilità di penare più che di godere sono eccessive. Desistiamo. Un po’ scornati, facciamo un inglorioso ma saggio dietrofront e proseguiamo verso occidente lungo la costa, che abbandoneremo presto a favore dell’entroterra traversato dalla D113.
Attraversiamo Avapessa, un paesucolo dotato di pendenze spaventose, ma con la sua fontana benedetta che ci da modo di sopravvivere e ci congiungiamo ad un’altra strada meravigliosa, la D71, che in questo punto costeggia un’alta collina da cui dominiamo tutta la costa attorno ad Algajola e le colline dirimpetto.

Ormai siamo quasi a Calvi, ma per la notte ci accampiamo poco prima in un altro campeggio. E qui venga reso onore al nostro vicino di tenda, Stefan, dotato di un camper supersonico e di una stretta di mano d’acciaio. Tedesco, ci accoglie sorridente e gioviale, ripieno di cordialità, con una bottiglia a metà di buon vino rosso abruzzese fresco di frigo e due sedie, che ci permettono di vivere la cena con qualche parvenza di lusso nomade. La nostra interazione avviene di necessità lontana dal suo camper, controllato senza competizione da un pastore tedesco che non vuole sentire né ragioni né eccezioni: nessuno a parte il suo Signore e Padrone deve avvicinarsi a meno di 5 metri. È una regola semplice, ma inderogabile. La socialità di Stefan deve adattarvisi senza discussioni.
giorno.05
Calvi è una cittadina molto graziosa, ma troppo turistica per i nostri gusti ormai selvatici. Colazione a parte, che ci seduce con le sue dolcezze da patisserie. Si pedala quindi verso sud lungo la costa e la D81B, poi D81, altra strada magnifica.

Inizia la tortuosa costa occidentale, con i suoi fiordi e le alte pareti rocciose, tagliate dalla D81 come la fresatura di un falegname.

giorno.06
Dopo la tappa a Galéria continuiamo verso sud seguendo il tortuoso cammino della D81 verso la fine della nostra vicinanza al mare della costa occidentale. Il tempo di riempirci gli occhi di splendidi scenari e colori in gloria, e siamo già a Marine de Porto, piccola frazione nata per il diportismo e incastonata al centro del grande golfo omonimo.

È a Porto che abbandoniamo con ansia preveggente le pendenze leggere affrontate oggi. Ora si tratta di arrampicarci per le montagne ancora una volta. In pratica raggiungeremo Évisa, che all’andata in solitaria avevo solo sfiorato, dalla parte opposta del grande promontorio da dove ero passato solo pochi giorni prima. La mia solitaria era stata più lunga, dunque il dislivello si era diluito nei chilometri. Stavolta sarà più breve e più intenso. La strada è particolarmente tortuosa, dura, non dà tregua. L’unica cosa che distrae e rende meno improba l’impresa è il paesaggio che lascia veramente incantati.

Livio decide di staccarmi. Ha paura di non riuscire ad arrivare in tempo ad Évisa per poter fare scorta di cibo. Quindi mentre mi attardo a fotografare le rocce scoscese che mi circondano, lui si impegna in una scalata da gran fondo. Pagherà domani questo suo azzardo, ma ora si gode la sua performance sportiva in un contesto di eccezionale bellezza. Arrivo con notevole ritardo e trovo già tutti i progetti piacevolmente stilati. Livio è provato dall’impresa e non riesce a prendere in considerazione nemmeno l’ipotesi di dormire in tenda stanotte. Ha già contrattato la notte col proprietario di un alberghetto di Évisa e la cena con una piacente cameriera locale. Sarà stufato di porco corso e salsicce brasate di manzo corso. Il reintegro delle proteine stasera è garantito.
giorno.07
Lasciamo Évisa, e a questo punto il tragitto è la fotocopia dell’andata: Col de Vergio, Lago di Calacuccia, Scala di Santa Regina, Castirla, Corte. L’unico dettaglio degno di nota è la piccola rivincita che mi prendo sul passo. Dopo essere stato sempre staccato da Livio – noto gran maestro delle gran fondo del nord Italia, chiamato anche con ammirazione “il mastino della Sila” dai suoi compagni di squadra – oggi, provato dall’azzardo di ieri, non regge il passo del “salmone spaziale”, che invece ha gamba, conosce già i tornanti della D84 e oggi è inarrestabile. Gli do quasi 15 minuti e lo aspetto trionfante sui 1490 di Col de Vergio.

giorno.08
Lasciamo definitivamente le alture della Corsica centrale e lungo la T50, seguendo il corso del Tavignano, raggiungiamo Aléria, dove passiamo l’ultima notte insieme ai bordi della grande spiaggia che è paesaggio monotono e quasi esclusivo della costa orientale. Da qui Livio andrà a nord, verso Bastia. Io a sud, verso Porto Vecchio, entrambi comunque lungo la T10 che collega il nord al sud dell’isola.

giorno.09
Mi avvio ancora una volta in solitaria ad affrontare il continuo saliscendi trafficatissimo della T10. A tratti, soprattutto verso la fine, il paesaggio è gradevole, ma insignificante se comparato alla bellezza di quello degli scorsi giorni. E il contrasto, unito all’anticlimax del viaggio al termine, rendono la pedalata particolarmente faticosa. Il caldo rende tutto più difficile. A un tratto, passando sopra un ponte ormai a poco distanza dalla meta, quasi un miraggio. Un torrente mi scorre sotto, con acque cristalline e grandi sassi sbiancati dal sole e burattati dalle acque. È un attimo. Inchiodo, inverto la marcia, cerco una stradina, un pertugio, un passaggio che mi conducano verso il miraggio. La trovo. È poco più di un viottolo attraverso la macchia mediterranea, ma abbastanza per raggiungere l’acqua. In pochi istanti sono nudo e immerso nelle acque rigeneranti del fiume Cavu. Il momento più bello di questa ultima giornata della Corsicana per due.

