
7 giorni in 700 km. O viceversa.
Quando il sole non è più molto lontano dall’orizzonte, il cicloviaggiatore entra in modalità “ricerca di luogo sicuro per la notte”. E si trasforma in un cane da tartufo. In un pointer che stana la sua pernice.
E allora capita che che pedalando lungo una quasi-autostrada, la N-340 da Tarragona verso Barcelona, attraverso ettari a perdita d’occhio di vigneti di Cava brut, si scorga in lontananza una collinetta, quasi un foruncolo di terra cresciuto sulle colline dolci vignettate. Un eremo avvolto da un boschetto di pini, sul colmo una vecchia costruzione diroccata.
È il segnale. La prima uscita è mia. Qualche ghirigori d’asfalto e affronto la breve pendenza al 18% verso l’eremo. Mi conforta il saltellare qua e là di lepri: se ci sono loro, gli umani passano di rado. Il bosco mi accoglie e mi protegge. Con fatica mi sciolgo dalla bici e prendo fiato. Il traffico della N-340 in lontananza è senza fine, ma da quassù è quasi un white sound conciliatore del sonno. Tolgo il sudore di dosso col mio sistema brevettato di 1/2 l H2O = 1 doccia e monto il mio bivacco. Sfioro la mia Kona Sutra col giaciglio: praticamente dividiamo un talamo. Non potrà muoversi di un centimetro senza che io lo senta, come un ragno percepisce la sua tela.
Ormai la luce si fa soffusa. Il rumore dei trattori scema. Il mio corpo è pronto. Con un’entrata alla Fosbury mi infilzo dentro il mio bivacco e chiudo la paratia a zanzariera. La testa rimane praticamente fuori e l’ultima cosa che vedo sono le fronde alte dei pini che si stagliano sul cielo spento.
Non ho nulla da chiedere di più.
@ Ermita des Montanyans – Catalunya